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Secondo il Global Financial Centres Index, l'indice mondiale dei centri finanziari, c'e' aria di cambiamento in vetta. Per la prima volta dal 2007, anno in cui l'indice fu iniziato, New York ha registrato il primato mondiale su Londra. Londra non e' stato poi l'unico centro finanziario del Regno Unito coinvolto. Il secondo centro infatti, Edimburgo, e' scivolato dalla 15esima posizione nel 2007 alla 64esima nel 2014 (addirittura dopo Mauritius). Un vero e proprio tracollo. La Gran Bretagna insomma non e' piu' cosi' sicura per gli investimenti finanziari. Segno di un declino europeo sempre piu' inesorabile, reso ancora piu' rapido dal disastro euro, dall'incertezza dell'Unione Europea e dal passo troppo lento dei centri finanziari europei rispetto a quelli asiatici. Due punti in particolare hanno spaventato i relatori dell'indice: il referendum indipendentista scozzese e l'incertezza sulla scelta del Regno Unito di rimanere o meno nell'Unione Europea. Uno solo di questi punti potrebbe far tremare Londra (ed affossare Edimburgo, in particolare nel caso del referendum scozzese), ma entrambi i punti insieme renderebbero l'Inghilterra indipendente e fuori dall'Europa una realta' troppo insignificante per giocare un ruolo finanziario primario nello scenario globale. Per recuperare la credibilita' bisognera' attendere settembre di questo anno per il referendum scozzese ed il 2017 per il referendum sull'Europa. Anche se l'idea di attendere ben tre anni per sapere il futuro del Regno Unito sembra eccessiva e troppo lunga, specie nel mercato dell'alta finanza dove ogni secondo e' fondamentale. Sono state per decenni la spina dorsale dell'economia europea, eppure dal 2008 sono sotto una pesante minaccia: quella di non poter accedere al credito. Si parla delle piccole e medie imprese, che dopo la crisi del 2008 hanno visto chiusi i rubinetti del credito bancario, o almeno in alcuni paesi d'Europa invece che in altri. A parlare del problema e' stato il Financial Times in un recente articolo intitolato ironicamente "Date loro un po' di credito", dove il giornale ha riportato come nell'eurozona la situazione sia drammaticamente cambiata durante la crisi. Il numero di piccole e medie imprese (PMI) in Europa e' di 3,69 milioni in Italia, 2,48 in Francia, 2,24 in Spagna e di 2,15 in Germania. Dal 2008 al 2012, periodo peggiore della crisi, il numero di PMI in questi paesi e' cambiato: in Spagna le PMI sono diminuite di 390.000 unita' ed in Italia di 220.000, mentre in Francia e Germania c'e' stato un netto incremento, rispettivamente di 150.000 e 280.000. I numeri dunque parlano chiaro: in Italia e Spagna le PMI stanno progressivamente sparendo, mentre in Francia e Germania stanno aumentando. Quale puo' essere dunque la ragione di questo fenomeno? Una delle piu' importanti secondo il Financial Times e' appunto quella dell'accesso al credito, l'articolo infatti ha mostrato la forte correlazione tra l'accesso al credito ed il trend delle PMI tra i quattro principali paesi dell'eurozona. In Spagna ed Italia infatti quasi il 30% delle applicazioni delle PMI per accedere al credito bancario viene rifiutata (sebbene in questi paesi anche le grandi imprese non riescano ad accedere al credito con un tasso di rifiuto di oltre il 25%). In Francia solo un numero intorno al 17% delle applicazioni viene rifiutato, sia per le piccole che per le grandi imprese, mentre in Germania solo il 7% per le grandi imprese e meno del 5% per le PMI. Il dato mostrato e' allucinante, in pratica un'azienda su tre in Italia e Spagna non riesce ad accedere al credito, mentre in Germania solo una su venti. Ecco perche' poi le PMI crescono in Germania, mentre chiudono nel Mediterraneo. In Italia e Spagna in pratica, le banche stanno fallendo la loro missione di essere intermediari finanziari, trattenendo la liquidita' del sistema senza fornirla agli imprenditori, causando un calo degli investimenti, della competitivita', ma soprattutto, dell'occupazione. Una via d'uscita c'e', ed e' quella appunto di "aggirare" il sistema bancario ed inventare un sistema nuovo per accedere al credito. Una delle idee, non a caso, e' spesso sperimentata in Italia, ed e' chiamata "Equity Funding". In pratica si tratta di ottenere capitali attraverso la vendita delle quote azionarie della propria azienda. Ad utilizzare questo modello e' stata Italia Independent, azienda di moda co-fondata nel 2007 da Lapo Elkann. L'azienda, trovando le porte delle banche chiusa, ha deciso di quotare il 27% delle proprie azioni nel listino AIM Italia, dove sono quotate solo 38 aziende, e' stata valutata ben 80 milioni di euro, ed e' riuscita ad ottenere circa 21.6 milioni di euro dalla vendita delle proprie azioni. Quella dell'Equity Funding e' storia vecchia pero', si usa infatti da decenni. Un nuovo sistema invece si chiama Funding Circle ed ha una particolarita' e cioe' permette alle aziende, come in un normale crowd funding, di pubblicare la propria domanda di finanziamento online, gli utenti poi decideranno quanto e se prestare. Il tasso di interesse sul prestito fatto dagli utenti e' deciso dall'azienda richiedente, mentre il rating sull'affidabilita' dell'azienda che chiede il prestito e' effettuato in maniera imparziale da Funding Circle. La Royal Bank of Scotland si prepara a ridurre la sua divisione Investment Banking e la divisione delle Operazioni Internazionali, annunciando che ridurra' di un quarto la sua forza lavoro, che al momento e' di 120.000 dipendenti. La banca, che e' all'81% proprieta' del governo britannico, potrebbe quindi arrivare a tagliare fino a 30.000 posti di lavoro, includendo pero' il piano di riduzione del personale gia' annunciato di vendere due aziende controllate, Citizens negli Stati Uniti e Williams & Glyn in Gran Bretagna, che al momento impiegano rispettivamente 18.300 e 4.500 dipendenti. La scelta di vendere le controllate e di ridurre le proprie operazioni internazionali e quelle di investment banking arriva dopo un duro braccio di ferro tra il management della banca ed il ministro delle finanze, specie dopo il piano di salvataggio di 45.5 miliardi di sterline attuato durante la crisi del 2008, che di fatto ha statalizzato la banca. Quello del referendum indipendentista scozzese sta diventando decisamente un affare "scottante" che sta trascinando gli animi della politica britannica, ma soprattutto che sta facendo sudare freddo anche il mondo economico. Giusto in settimana il cancelliere Osborne aveva lanciato una vera e propria minaccia al popolo scozzese in caso di un eventuale "si" al referendum sull'indipendenza, ribadendo che per la Repubblica di Scozia non vi sarebbe possibilita' di rimanere nella sterlina. Parole grosse, talmente grosse da creare un botta e risposta che non lascia al caso le interpretazioni. Il primo ministro scozzese Alex Salmond ha infatti affermato con determinazione che in caso si crei nello scenario indipendentista la fine dell'uso della sterlina per la Scozia, il paese non sosterrebbe piu' la sua quota di debito pubblico, in quanto difficile da definire, uscendo quindi dal Regno Unito senza alcun debito, ne' interesse sullo stesso. A sostegno della tesi di Salmond ci sarebbe il problema del calcolo dell'effettivo debito pubblico scozzese, visto che tutti i debiti del paese sono finiti per secoli nel calderone del debito pubblico britannico. Secondo i calcoli, il debito pubblico scozzese si aggirerebbe tra il 38% e il 62% del PIL nazionale, a seconda che si calcoli il debito in base al bilancio fiscale stimato oppure in base alla quota di popolazione. Nel primo caso la Scozia sarebbe esposta per 56 miliardi di sterline, mentre nel secondo caso lo sarebbe per ben 92 miliardi, uno scenario ben differente. La provocazione di Salmond pero' non ha trovato finora credibilita' a livello politico, molti infatti l'hanno definita un vero e proprio "bluff", anche perche' in ogni caso la Scozia sarebbe chiamata a rispondere per i debiti infrastrutturali contratti per le opere pubbliche, senza contare i vari bailout che si sono succeduti con in primis il caso della Royal Bank of Scotland, di fatto la banca candidata a diventare la banca centrale della Scozia indipendente, salvata con finanziamento pubblico britannico e che ovviamente non potra' sganciarsi dalle proprie responsabilita' finanziarie. Il 18 settembre si avvicina sempre di piu' e i timori crescono. La paura per il Regno Unito e' che il referendum scozzese dia l'esito piu' tragico che ci si possa aspettare e cioe' quello dell'indipendenza politica della Scozia. A mano a mano che le colonie sono diventate indipendenti e dopo l'indipendenza dell'Irlanda, la Gran Bretagna sta diventando sempre piu' piccola e perdere un pezzo strategico come la Scozia porterebbe la fine di tutto, con le indipendenze di Irlanda del Nord e Galles subito dietro l'angolo e la monarchia britannica costretta al dominio sul solo suolo dell'originaria Inghilterra. Il cancelliere Osborne e' sceso in campo questa settimana in favore dell'unita' politica, sostenendo con forza che una scelta di campo scozzese contraria all'unione dei paesi della Gran Bretagna comporterebbe l'automatica perdita della valuta comune e cioe' la sterlina. Questa minaccia pesa molto di piu' dei moti patriottici ed Osborne lo sa bene. Una volta persa la sterlina, l'eventuale Repubblica di Scozia si ritroverebbe nel baratro dell'Euro o addirittura di una vauta propria da rifondare da capo, con gli svantaggi causati dall'essere dipesi dalla Banca d'Inghilterra per cosi' tanto tempo. Allo stesso modo il discorso del cancelliere sottintende anche la macabra fine che farebbe di certo la Royal Bank of Scotland senza l'appoggio dei capitali inglesi, sprofondando nel baratro del fallimento e trascinando con se' l'intero paese appena nato. Intanto il tempo fugge e settembre e' dietro l'angolo, ma almeno il popolo scozzese e' stato avvisato. Dopo anni di crisi ed un aumento generale del debito pubblico, la Gran Bretagna inizia a guardarsi intorno per trovare investitori. Di certo Europa e Stati Uniti non possono essere considerati potenziali collaboratori, anche perche' sono in una situazione finanziaria piuttosto instabile. Ecco allora la potenzialita' di Cina ed Arabia che aprono le proprie finanze all'estero alla ricerca di investimenti per i milioni di dollari accumulati grazie a petrolio e manifattura. Primo accordo e' stato quello energetico che vedra' Cina e Gran Bretagna partecipare in un progetto congiunto per la costruzione di una centrale nucleare di nuova generazione (articolo in archivio), e per gli arabi c'e' qualcos'altro. Per la legge della Sharia, il codice morale della religione islamica, non e' possibile chiedere alcun interesse nelle transazioni finanziarie. Ecco dunque l'impossiblita' di vendere direttamente titoli di stato al mondo arabo, visto che l'interesse viene automaticamente incluso nei titoli. Per raggiungere questi potenziali acquirenti dunque il governo britannico ha studiato un particolare titolo di stato, i sukuk, che non prevedono tassi di interesse e sono conformi alle leggi morali della Sharia, e quindi acquistabili anche dai ricchi emiri del Medio Oriente. La prima emissione avverra' l'anno prossimo ed e' stimata essere di circa 200 milioni di sterline. Solo dopo aver scoperto l'esito delle prime emissioni il governo valutera' una seconda emissione. Una volta lanciati questi titoli, la Gran Bretagna sara' il secondo paese europeo ad aver lanciato i sukuk, dopo la prima emissione della Turchia con scadenza 2018. MG Lloyds TSB torna ad essere Lloyds Bank: la decisione dopo il pianificato de-investimento del governo9/29/2013 La Lloyds Bank ha di certo un lungo passato. Parte dei "big four" britannici, la banca e' stata fondata nel 1765 e nei secoli di attivita' ha avuto una decisa e rapida espansione per tutta l'isola. Tra le novita' piu' illustri lanciate dal prestigioso istituto di credito, di sicuro di puo' ricordare l'introduzione del primo Cashpoint elettronico con uso di carta magnetica per il prelievo del denaro. Un'invenzione rivoluzionaria introdotta nel 1972 e destinata a diventare il famosissimo ATM britannico (equivalente al nostro bancomat). Dopo diverse fusioni ed acquisizioni, nel 1995 arriva la grande fusione con la TSB Bank per formare quella che oggi e' una delle prime 4 banche dell'isola. Poi pero' arriva il 2008 e la crisi globale, l'impatto tremendo per tutti gli istituti di credito, nel 2009 l'ingresso nella compagine azionaria del governo britannico (arrivata fino al 43.4%) ed il downgrade del credit rating del gruppo da parte di Moody's da A1 ad Aa3 nel 2011. E per finire la decisione della Commissione Europea di definire come "aiuto statale" l'acquisto delle azioni da parte del governo ed il successivo obbligo a venderle entro novembre di quest'anno. E cosi' e' arrivata la decisione di preparare il rebranding del gruppo e farlo ritornare a Lloyds Bank. Tutte le filiali di Inghilterra e Galles hanno gia' avviato il restyling e per i correntisti e' disponibile il nuovo sito e a breve le nuove carte di credito. E da novembre arrivera' la nuova compagine azionaria extra-governativa e, possibilmente, il ritorno ad una piena profittabilita'. MG Settimana interessante per le banche britanniche. A seguito dei buoni risultati dell'economia inglese e dei rialzi dei titoli in borsa il governo ha deciso di ridurre la propria quota di partecipazione in Lloyds, uno dei maggiori istituti di credito dell'isola. Come nel caso della Royal Bank of Scotland (RBS), il governo aveva comprato durante la crisi una cospicua quota di partecipazione nei due istituti di credito arrivando a possedere il 38.7% di Lloyds e l'81% della RBS. Visti i brillanti risultati di Lloyds tornata a fare utili dopo anni di recessione, il governo ha quindi deciso di vendere sul mercato parte della propria partecipazione che e' stata ridotta fino a raggiungere il 32.7%. Le azioni che erano state comprate per 73 centesimi di sterline, sono state rivendute sul mercato per 75 centesimi, realizzando ben 3.2 miliardi di sterline. Un ottima operazione finanziaria che ha premiato il rischio intrapreso dalle finanze pubbliche di salvare le banche attuando una vera e propria statalizzazione. Discorso piu' lungo riguardera' invece la RBS, che sta ancora intraprendendo il lungo cammino di ristrutturazione interna per ritornare in area utile. Le azioni della RBS sono quotate al momento £3.60 mentre sono state acquistate per £5.02 dal governo nel 2008. Secondo gli esperti dunque ci vorra' ancora del tempo prima che il governo decida di piazzare la sua quota RBS sul mercato. Diverso discorso riguarda invece la Barclays, costretta a risarcire oltre 300.000 sterline di interessi sui prestiti privati per via di un errore sull'impostazione dei contratti. La banca dunque dovra' correggere a ribasso ulteriormente il gia' malandato profitto sulle commissioni bancarie calato di oltre il 4% in un anno. La banca inoltre era stata multata pochi mesi fa (come diversi altri istituti di credito) per aver venduto assicurazioni sulle carte di credito ai correntisti senza presentare i rischi connessi in maniera chiara, venendo poi costretta dal garante per i consumatori al risarcimento integrale delle polizze. Troppi errori dunque che costano caro e che stanno divorando i profitti di uno dei principali colossi bancari della City. MG Una multa da 1.3 miliardi di sterline. Ecco la decisione della Financial Conduct Authority sulla vicenda delle assicurazioni contro il furto d'identita' delle carte di credito. Tra le banche in questione vi sono i piu' prestigiosi nomi tra cui l'HSBC, la Barclays, la Royal Bank of Scotland, Lloyds TSB e Santander. L'accusa riguarda l'offerta ai correntisti di un'assicurazione contro il furto d'identita' delle carte di credito. Le banche in questione avrebbero esagerato i rischi connessi a questo crimine senza far sapere ai propri clienti che i loro conti correnti erano gia' coperti dallo schema di protezione dei risparmi del governo britannico che dispone una copertura per tutti i conti fino a £85,000. Ora i clienti che hanno sottoscritto queste polizze dovranno essere risarciti, anche se dovranno essere stabilite le modalita' e comunque il risarcimento non avverra' prima del 2014. MG |
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